
Mi mancherai Judy. Abbiamo passato una vita insieme, tra questi vecchi mobili che non si ostinano a perdere il tuo profumo. Prima di conoscerti non sapevo che cosa fosse la vera felicità, potevo percepirla da lontano, e mai avrei pensato che l’avrei raggiunta. Mia madre sopprimeva ogni pensiero per lei inusuale che vedeva in me, come se non fossi mai all’altezza, sbagliata in maniera smisurata: “Trovati marito! Non combinerai mai niente di buono se resti in casa a fare la zitella”.
Così mi diceva, almeno cinque volte al giorno. Io ci provavo ad uscire, conoscere uomini e andare alle feste, ma Londra mi sembrava così affollata e caotica che quasi non riuscivo a respirare. Quando un ragazzo mi si avvicinava io non provavo niente, nessuna emozione mi scorreva nelle vene, e pensavo che mia madre avesse ragione, ero sbagliata. Ma una sera, mentre sorreggevo un calice di vino bianco e il mio vestito svolazzava sul pavimento di quella grande tenuta di campagna, notai i tuoi magnetici occhi azzurri. Tutto sembrò improvvisamente riempirsi di luce, come se tu fossi un sole, i tuoi raggi mi toccarono l’anima. Eri vestita in modo strano, portavi un elegante frac nero e la gente ti guardava come se fossi una pulce da scacciare via. Invece di gioire per la fine della Seconda Guerra Mondiale, stavano a disquisire sul tuo abbigliamento, neanche fossi un animale esotico rinchiuso in uno zoo. Ma a te non importava, continuavi a sorridere e a chiacchierare con chi andava oltre il tuo completo elegante. Decisi di venirti a parlare e quando mi ritrovai davanti il tuo bel viso, mi sentii strana, come se volassi nel cielo sconfinato. Da quella sera ci vedemmo spesso, ma mia madre non approvava che avessi te come amica, troppo libertina per i suoi gusti. Voleva che mi maritassi entro breve, e che gli dessi subito dei nipotini. Avevo diciotto anni, tu pure, ci sentivamo troppo giovani per legarci ad un uomo per il resto della vita.
L’estate di quell’anno mi invitasti nella tua tenuta estiva a Westcliff, insieme ad altri tuoi amici. Dovevo tornare a casa con un marito, ma per fortuna non andò secondo i piani di mia madre. Quel giorno faceva un caldo tremendo e siamo andate da sole in riva al mare. La sabbia era morbida sotto i nostri piedi, il sole baciava le nostre pelli bianche. Ci sedemmo in una zona un po’ isolata, ricordo ancora il canto dei gabbiani. Parlammo così tanto, il tempo sembrava essersi fermato. A un tratto i tuoi stupendi occhi si posarono sui miei, con tenerezza. Presi la mia mano destra fra la tua, e sentii un calore propagarsi per tutto il corpo. Il mio vestito color rosa pastello era pieno di granellini di sabbia, i tuoi lunghi capelli bruni ondeggiavano al vento. Restammo a guardarci per un istante che parve un’eternità, finché le tue labbra non premettero contro le mie, e una strana energia pervase il mio corpo. Io, Margaret, stavo baciando una donna, e il mio cuore non faceva altro che battere all’impazzata. Mi avevano inculcato l’idea che tutto questo fosse sbagliato, innaturale, peccaminoso. Ma come poteva esserlo? Era una sensazione così amorevole, dolce, sincera… poteva l’amore essere uno sbaglio?
Da quel giorno passammo tutta l’estate insieme, e non ci staccavamo mai l’una dall’altra, non ci importava cosa avrebbe pensato la gente o i nostri amici. Quando tornai a casa, mia madre era lì che mi aspettava davanti alla porta, le braccia incrociate. Non feci neanche in tempo a salutarla che mi diede un sonoro schiaffo sulla guancia, ancora ricordo il dolore… non tanto dell’impatto ma del mio cuore che si spezzava. Mi disse che non ero più sua figlia, e che dovevo andarmene, ero solo una vergogna per la famiglia. La sofferenza che provai quel giorno è indelebile, non se ne andrà mai. Ripudiata dalla mia famiglia per aver amato una donna come te, per aver amato diversamente. Avevo sentito storie ancora più terribili, riguardo agli omosessuali. Un padre aveva scoperto che il figlio si vedeva di nascosto con un suo compagno di studi, e l’aveva preso a bastonate fino a farlo stramazzare al suolo.
Da quel giorno non vidi più mia madre, se non al suo funerale, in cui non riuscì a piangere per lei. Ma una cosa buona l’aveva fatta, mi aveva cacciata di casa. Finalmente potemmo vivere per conto nostro, fortunatamente eravamo maggiorenni. Io trovai lavoro come sarta in una bottega, e continuerò a cucire finché le dita non mi si staccheranno. Tu cominciasti a scrivere romanzi e ad appassionarti all’astronomia. Appena fu possibile, prendemmo questa casa fuori Londra dove poter stare tranquille. Le persone ci prendevano per amiche zitelle che volevano solo farsi compagnia, e noi glielo facemmo credere, per non avere troppi problemi. Che bella vita abbiamo vissuto insieme, in questa dimora ormai gremita di ricordi. Come quel telescopio che sta sul patio, e dove amavi trascorrere il tempo alla ricerca delle stelle. Una volta, durante gli anni ’80, tornasti a casa dicendo che avevano scoperto un nuovo asteroide, il 4739 Tomahrens, e volevi assolutamente riuscire a scorgerlo. Non so quanto tempo il tuo occhio rimase incollato a quell’obiettivo, ma amavo osservarti dalla finestra mentre rammendavo qualcosa. O come quella volta che, con i pastelli a cera, prendesti un sacco di fogli e cominciasti a disegnare i pianeti. Sono ancora appesi nello studio quei quadri, e in questi giorni mi soffermo sempre a guardarli. Abbiamo viaggiato molto, e amavamo andare per musei. L’ultimo viaggio è stato ormai cinque anni fa a Firenze, per il nostro viaggio di nozze, nel 2014, quando finalmente l’Inghilterra ha approvato le unioni civili. Gli Uffizi sono spettacolari, ed è stato meraviglioso girarli mano nella mano, con le audioguide incollate alle orecchie. Ma te lo ricordi il giorno del nostro matrimonio? Due vecchiette vestite di bianco, una marea di amici e la torta al limone più buona del mondo. È stato uno dei giorni più belli della mia vita, finalmente ho potuto urlare a tutti il mio amore per te.
Te ne sei andata ieri, in una giornata uggiosa, a causa di una malattia. Siamo invecchiate insieme, ci siamo amate per ben settant’anni, e mai una volta ho dubitato del nostro amore. Mentre ti scrivo questa lettera le lacrime scorrono sulle mie guance, spero che non bagnino troppo il foglio. Lascerò queste parole dentro la tua bara, insieme alla corniola, una pietra che al tempo degli Egizi veniva lasciata dentro le tombe come “armatura magica” per la vita dopo la morte. Spero che tu sia in un posto migliore, e che mi aspetterai. Vorrei vederti ancora come la prima volta che ci siamo conosciute, con quel bel frac nero e i capelli ribelli che ti cadevano sulle spalle. Ti amo Judy, e ti amerò per sempre.
Tua Margaret
Ehi, ehi! Chi ti ha dato il permesso di scrivere racconti così belli e coinvolgenti?
Non si fa! 😁
👏👏👏
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Grazie! È uscito in occasione della giornata internazionale contro omobitransfobia 😊 (poi leggo bene anche il tuo articolo, promesso! 😊)
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Se è uscito così, all’improvviso, tanta roba! 😮
Brava, brava, brava.
Allora aspetto le tue considerazioni quando hai letto! 😉
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Beh in realtà era rimasto sepolto un po’, fa sempre parte di quel filone dei racconti delle 10 parole ma non ha avuto comunque molta revisione. Ti ringrazio davvero tanto per i complimenti 😊
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Ma figurati: io non faccio complimenti, solo constatazionioni! 😉
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