Tema: Frigorifero

Vuoto. Non c’è più vita dentro di me ormai da tre lunghi mesi. In realtà qualcosa ha sempre occupato i miei freddi scaffali: buste di insalata, qualche frutto ammaccato, ogni tanto persino una confezione di prosciutto magro. Faccio sempre il mio lavoro con grande solerzia, ma sono più le volte che me ne sto da solo al buio, senza essere mai aperto. Maria, la donna di questo piccolo appartamento, se ne sta alla larga da me, come se il mio aspetto bianco la spaventasse o le provocasse un disgusto inumano. Ricordo i tempi in cui apriva il mio sportello con un grande sorriso sul viso, felice di prelevare carne, pesce, verdure variopinte e salse saporite. Riuscivo a sentirla canticchiare mentre soffriggeva della cipolla in una padella o infornava una torta soffice al cioccolato. E io ero felice. Tenere fresco per lei tutto quel cibo delizioso era per me un onore, e anche una gioia. Ora, invece, a malapena prende una busta già pronta di insalata. Il suo viso è scarno, emaciato, le si vedono gli zigomi sporgenti. Le mani ossute mi sfiorano leggermente, pallide come la morte. A volte si dimentica persino di aprirmi per ore interminabili, quando il sole è tramontato da un pezzo. E io non riesco a conservare al meglio quei maledetti sacchetti di plastica, le foglie dopo qualche giorno avvizziscono, si fanno scure e mollicce, andate a male come lei.
È bastato un commento di troppo, l’ennesima rottura da una persona che non la meritava, la trattava male. Mesi di insulti, prese in giro, parole affilate e letali come una lama: Ti lascio. Stai diventando troppo grassa per me, sei una nullità. Una motivazione stupida, crudele a cui lei non riuscì a restare indifferente. Anche perché era una donna normale, bella, solare come una calda giornata estiva. Quella sera, tornata dal lavoro, Maria mi svuotò completamente, buttando via tutto il cibo teneramente accudito da me. Un grosso sacco nero inghiottiva ogni ben di dio, lasciandomi solo un gelo vuoto. In questi tre mesi l’ho sentita piangere, urlare di disperazione. Imprecava contro di me, contro quel poco cibo che ancora mi lasciava accudire.
Mi è capitato di scorgere sulle sue braccia esili dei segni viola, grandi quanto un acino d’uva. L’ho vista analizzarsi per minuti interi sul grande specchio davanti al divano, proprio di fronte a me. Con le dita si pizzicava la pelle, sempre più forte, sempre più intensamente. Gemeva di dolore mentre cercava un sottile filo di grasso da distruggere, annientare con pressione. Poi passava ai pugni, dati con forza sull’addome debole, brontolante. Piangeva, accasciandosi a terra e ripetendo in continuazione Sono grassa… sono grassa… Avrei voluto mille volte staccarmi dal muro e consolarla, farle capire quanto è bella per i miei freddi occhi, per chiunque la osservi. Ma non posso, sono solo uno stupido frigorifero che non può nemmeno parlare. Mi limito a guardarla soffrire senza poter fare niente. Subito dopo si infila una tuta ed esce correndo, anche se ormai le gambe sembrano non reggerla più. Quando torna dopo ore è così stremata da accasciarsi sul divano, come morta. Respira debolmente, e io resto a sentire il suo sospiro sofferente per tutta la notte, piangendo con lei.
Oggi però sembra diverso, qualcosa è cambiato. Maria entra nel nostro piccolo appartamento con due buste enormi piene di cibo. Le appoggia sul bancone della cucina, e comincia a riempirmi di salumi, formaggi, cioccolata, salse e bibite frizzanti e zuccherose. Ma qualcosa non va. I suoi movimenti sono scattosi, nervosi. Non c’è cura nelle sue mani, nessun amore nei suoi occhi. Corre in camera da letto a cambiarsi, tornando con una felpa logora e sgualcita. Il suo sguardo sembra perso nel vuoto. Tira fuori dalle borse merendine, patatine, pane bianco e, con foga animalesca, comincia a mangiare. La bocca si allarga, i denti masticano rumorosamente tutto, pezzi di cibo cadono sul pavimento immacolato. Apre il mio sportello e mi svuota completamente, lasciandomi mezzo aperto. Percepisco il calore dell’esterno e la foga di Maria si abbatte su di me. Ingurgita salame e cioccolata, patatine e brioches senza alcun criterio, pensando solo a ingozzarsi. Posso sentire lo stomaco brontolare e rimestarsi, non più abituato a vedere tutta quella quantità di cibo. Resto a guardarla immobile, il suo sguardo assatanato mi scruta più volte, insultandomi.
Ecco, si ferma. Guarda le mani sudicie, i pezzetti di cibo spalmati a terra in una massa informe di unto e sporcizia. Piange, la bocca ancora piena di pane. Si alza ma le gambe le cedono e cade rovinosamente a terra, geme. Si trascina verso il bagno, i gomiti scivolano sul parquet trascinandosi dietro resti di maionese e cioccolato. Striscia come una lumaca senza più una casa. La sento appoggiarsi al water e vomitare senza sosta. Ascolto quei rumori orribili mezzo aperto, goccioline d’acqua scorrono sulle mie pareti.
Non so quanto tempo è passato, quella sofferenza mi è sembrata infinita. Ora è qui, davanti a me, stramazzata al suolo. A stento è riuscita a venire in cucina, a carponi come una bambina indifesa. Non so come è riuscita a comporre un numero sul suo cellulare dicendo solo Vieni, sussurrato come in punto di morte. Poi più niente, solo un rumore sordo sul pavimento. Maria respira affannosamente, gli occhi chiusi per non dover vedere il disastro in cui è accasciata. E io me ne sto qui, bianco e vuoto, come lei. Fra poco la verranno a salvare, la porteranno in un luogo sicuro. Tornerà ad amare il cibo, ad amare sé stessa? Io questo non lo so, ma spero per lei che possa tornare a preparare i suoi speciali manicaretti. Per il momento non posso fare altro che vegliare su di lei, mentre divento sempre più caldo.
Davvero un racconto sublime! 👏👏👏
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Grazie, davvero 💜💜
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Eh, mica è colpa mia se sei stata brava! 😉
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Intenso e struggente
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Cara Talija, ho letto questo racconto e ci tengo a ringraziarti.
Ti ringrazio perché so cosa vuol dire odiare il propro corpo tanto da farsi del male, mangiando di più o non facendolo affatto o farlo senza mezzi termini.
Ti ringrazio perché apri alla speranza, all’amore, alla fiducia e all’aiuto degli altri (cosa assai rara di questi tempi).
Grazie di cuore, per aver riaperto una ferita e averla cucita con un filo rosso, lunghissimo ma fortissimo che ci lega tutte.
Grazie!
Sonia
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Grazie Sonia, le tue parole mi toccano il cuore e sapere che le mie hanno toccato il tuo mi rende ancora più felice. Un abbraccio. Talija
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