In occasione della laurea ho ricevuto uno dei più bei regali che potessi mai desiderare: viaggio a Parigi, una delle mie città artistiche preferite. Io, che avevo a malapena preso un aereo a cinque anni, mi sono ritrovata sopra questo apparecchio volante diretta verso un altro stato. Per fortuna, come mio fidato compagno avevo il mio fidanzato che, con estrema pazienza, si è sorbito i miei stritolamenti per un’ora e mezza di volo. Ma, una volta messo piede fuori dall’aeroporto, ho dimenticato tutta la paura e mi sono immersa nella meravigliosa aria artistica parigina.

Tra una visita notturna alla Torre Eiffel, una gita lungo la Senna e la vista della meravigliosa cattedrale di Notre Dame dalle sbarre (una tristezza vederla da distante, senza poterci entrare), sono riuscita a entrare nel meraviglioso Museo D’Orsay che, in un certo senso, ho preferito al Louvre. Persa fra quei corridoi pieni di quadri meravigliosi sono riuscita a beccare il periodo in cui era stata allestita una mostra completamente dedicata a Edgar Degas, uno dei miei pittori preferiti del periodo a cavallo fra 1800 e 1900.
Durante la sua vita burrascosa, nonostante provenisse da una famiglia agiata e che, tutto sommato, supportava il suo talento artistico, Degas avrà modo di viaggiare, soprattutto in Italia, e assorbire come una spugna gli insegnamenti dei grandi maestri vissuti prima di lui. Infatti, al contrario di molti altri artisti a lui contemporanei, Degas non rinuncerà mai al passato e, anzi, passerà molto tempo a copiare e ricopiare le loro opere e le loro tecniche. Questo aspetto della sua personalità l’ho sempre amato molto, trovo appunto che rinnegare gli artisti del passato non sia mai una buona strategia per migliorare, quanto piuttosto un limite, un’occasione sprecata per imparare qualcosa da chi ce l’ha fatta prima di noi.

E poi Degas amava perdersi nei musei, assaporarne l’aria artistica pervasa in tutte le sale, in tutti i corridoi. Anche io, visitando quel museo meraviglioso, sono rimasta incantata da quell’atmosfera unica, così stimolante e ispirante da commuovermi. Degas viene definito parte della corrente artistica dell’impressionismo, come il suo grande amico Edouard Manet, ma lui non ha mai amato definirsi tale, quanto più “realista” o, meglio, “naturalista”. Infatti, come ho potuto notare in quella mostra dedicata a lui, Degas non seguiva strettamente i canoni di questa corrente artistica e, per questo, molti pittori impressionisti non lo apprezzavano. Uno dei pilastri dell’impressionismo è quella di rappresentare la realtà immediata, dipingendo direttamente la tela con il colore senza un bozzetto di preparazione, lasciando libera la pittura sul bianco. Degas, al contrario, continuerà a creare lo scheletro dei suoi soggetti prima di colorarli e ho potuto vedere alcune sue opere in varie fasi di realizzazione, dal bozzetto all’opera finale. Non ho fatto molte foto, quando visito i musei preferisco godermi il momento e lasciare che le immagini si incollino alla mia mente, lasciandomi ispirare incondizionatamente.
Degas, prevalentemente, amava dipingere tre soggetti:
I fantini, in quanto l’anatomia del cavallo gli trasmetteva un elevato dinamismo ed era curioso di studiarne i movimenti eleganti e, in un certo senso aristocratici. Amava andare all’Ippodromo di Longchamp, inaugurato nel 1857, tanto che collaborerà con esso per pubblicizzare le gare e stilare il regolamento di questa disciplina. A differenza di Manet, il quale rappresenterà le corse nell’apice dell’azione, Degas si concentrerà su soggetti quasi statici, raffigurando, ad esempio, i momenti precedenti di una gara, come l’attimo prima dello start, la tensione iniziale o la partenza.

I nudi femminili, secondo me alcuni dei più belli mai realizzati. Degas, a differenza di molti altri pittori, non raffigura mai modelle in posa, ma in contesti familiari, intimi. Le modelle vengono ritratte intente, ad esempio, a pettinarsi i capelli, riposarsi dopo la toeletta e, in generale, tutti quei gesti di preparazione delle fanciulle. I nudi femminili saranno quelli attraversati da una più forte innovazione, come l’utilizzo dei pastelli e di tonalità più calde.

Le famose ballerine, il suo soggetto più riconoscibile e quello che, per stessa ammissione di Degas, gli faceva guadagnare di più e che, nonostante amasse, era quello che dipingeva più per moda in quanto aveva un mercato molto florido. La mostra era concentrata appunto su queste figure, anche qui raffigurate spesso e volentieri in momenti intimi, quotidiani come l’allacciarsi delle scarpette o la lezione di danza.

L’uso dei colori di Degas l’ho sempre trovato sorprendente e, ogni volta che mi ritrovo a guardare un suo dipinto, rimango estasiata. Vederlo dal vivo è stata per me una grande emozione, vedere i suoi bozzetti e leggere la storia delle sue opere mi ha fatto immergere nel suo mondo, come se lo avessi incontrato proprio lì, tra quei corridoi pieni di meraviglia. Era come se sentissi la sua presenza passeggiare accanto a me, una guida invisibile pronta a tendermi la mano per farmi osservare ogni minimo particolare. Mi piacerebbe tornare a Parigi prima o poi, anche solo per fermarmi davanti a un suo quadro e rivivere, per un attimo, quell’emozione che mi porterò dietro per tutta la vita.

Lo conosco poco (quel tanto che si può fare da un’eciclopedia di vari pittori), ma mi ha sempre affascinato quella sua atipicità come impressionista (corrente che non mi ha mai entusiasmato). Immagino che vedere i sui quadri dal vivo faccia un effetto ben diverso dall’osservarli attraverso una stampa o una fotografia…
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