Ho sempre amato il teatro. Ho sempre adorato, anche in tenera età, quella sensazione di meraviglia nel vedere le luci abbassarsi pian piano in sala, i faretti illuminarsi sugli attori in scena e il silenzio preceduto da molteplici brusii. E lì, adagiata comodamente sulla poltrona comoda, restavo rapita dal palcoscenico. Ma adoro anche leggere sceneggiature e copioni teatrali ed è grazie alla scuola che venni a conoscenza di Ibsen e la sua famosa “Casa di bambola”.

Il 20 marzo 1828, nella piccola cittadina norvegese di Skien, nacque Henrik Johan Ibsen da una famiglia non troppo agiata e, anzi, parecchio sfortunata. Il padre, infatti, collezionerà una serie di fallimenti commerciali e lui fu costretto a lavorare come apprendista presso una farmacia. Durante gli anni dell’infanzia e dell’adolescente, Ibsen si dimostra un ragazzo schivo, timido, chiuso nel suo mondo fatto di libri e dipingi (avrà sempre una forte passione per l’arte) e questo lo porta a isolarsi e a non stare in compagnia dei suoi coetanei i quali, dato questo suo carattere, lo scherniscono di continuo per il fatto di essere così diverso. Nella solitudine della sua stanza compone piccole poesie e dipinge qualche tela, arrivando anche a interessarsi della satira. La farmacia, infatti, si rivelerà il palco perfetto in cui scrutare e analizzare la clientela borghese, con le sue ipocrisie e convenzioni sociali, perno su cui faranno leva la maggior parte delle sue opere drammaturgiche.
Con le sue prime opere, come Catilina, riuscì a uscire dalla povertà e a farsi un nome negli ambienti teatrali, diventando il creatore di fatto del teatro sociale. In particolar modo è considerato il padre della drammaturgia moderna, per aver portato in scena la dimensione più intima e nascosta della borghesia ottocentesca, mettendone a nudo le contraddizioni. Nel 1879 uscirà il famoso dramma “Casa di bambola”, scritto da Ibsen ad Amalfi durante un viaggio. Lo spettacolo suscita subito un grande scandalo nella società vittoriana a causa dei suoi temi fortemente femministi e inconcepibili per l’epoca.
Nora vive con il marito Torvald e i figli in una stupenda casa dell’alta borghesia, e ci viene presentata come una donna capricciosa e volubile, come la definisce anche il marito che la appella spesso e volentieri come “allodola”. Nora è ricattata da un certo Krogsad a causa di un prestito illecito che lei aveva architettato, falsificando la firma del padre, per salvare suo marito. Quando Torvald scopre il fattaccio l’ansia lo assale, spaventato dal poter perdere la sua reputazione. Con tutti questi pensieri allontana Nora, considerandola una moglie indegna di vivere con lui e di prendersi cura dei figli. Grazie a una amica di Nora, però, il ricatto finisce e Torvald, riacquistata la sua libertà e venuto a scoprire che lei aveva corso questo rischio per lui, la perdona all’istante e la rivuole con sé. Ma ormai è troppo tardi. Nora si è resa conto che quella vita fatta di zucchero e ipocrisia non fa per lei, e che per tutta la vita, sia infantile che matrimoniale, si è sempre sentita una bambola, un oggetto nelle mani di un uomo, un orpello da esporre in pubblico e usare a piacimento. Nora, quindi, se ne va, lasciando lì i figli in quanto non si sentiva più nemmeno in grado di essere una buina madre, in cerca della sua strada e della sua vera identità.

Ricordo ancora la forte emozione che mi provocò leggere questo dramma ancora in un certo senso contemporaneo. La nostra società è spesso piena zeppa di etichette, modi di vivere considerati corretti da dover perseguire a tutti i costi. Basti pensare alla forte pressione sociale del matrimonio o dei figli, sentita moltissimo soprattutto dalle donne. Al giorno d’oggi, per fortuna, le cose stanno migliorando e ognuno può decidere di vivere la vita come meglio crede, ma all’epoca questa cosa fece davvero un gran scandalo. In alcuni luoghi era vietato discutere di “Casa di bambola” e Ibsen, in occasione di uno spettacolo in Germania, fu costretto a cambiare il finale perché l’attrice si rifiutò di interpretare una donna come Nora, una madre degenere che abbandona i figli e si sottrae al sacro vincolo del matrimonio.
Ibsen, grazie alla sua scrittura precisa e non arzigogolata, riesce a ricreare perfettamente quell’ambiente patinato e malsano della borghesia ottocentesca, calando lo spettatore in quella realtà fatta di contraddizioni. Creando dialoghi coerenti e verosimili, dal lessico chiaro e conciso, scava a fondo nell’intimità degli esseri umani, mettendo in luce le loro molteplici insicurezze e ipocrisie. Torvald, infatti, prova ansia non tanto per il debito o perché la moglie veniva ricattata, ma perché ha paura dei pettegolezzi, del giudizio martellante della società. Nora si sente solo un oggetto, una donna senza una vera e propria anima, abituata fin da piccola ad assumere determinati comportamenti al solo scopo di sposare un uomo altolocato, che poi la vedrà come un gioiello, una decorazione della casa più che una persona con un’identità.
Il messaggio di Ibsen arriva alle orecchie dello spettatore forte e chiaro, ed è degno di nota il fatto che sia proprio un uomo a raccontare le sofferenze di una donna della borghesia vittoriana. Il teatro è un’arte così meravigliosamente vera, viva, da lasciarmi ogni volta senza fiato. Avendo fatto qualche anno di recitazione la sensazione di vitalità che si prova quando si calca un palcoscenico è indescrivibile, se solo torno a pensare a quei momenti mi sale una potentissima energia. Nora è uno di quei personaggi che mi sarebbe piaciuto interpretare (o che mi piacerebbe interpretare, non si sa mai cosa può accadere nel futuro), dotata di una forza d’animo disarmante. Io, purtroppo, non ho mai avuto l’occasione di vedere “Casa di Bambola” dal vivo e spero, un giorno, di poterlo vedere seduta comodamente su una di quelle poltrone. Sentire il brusio della sala calare a poco a poco mentre le luci si spengono, per poi lasciarmi trasportare dagli attori in quella casa borghese di fine Ottocento, respirando a pieni polmoni quell’arte viva che è il teatro.

Ti è piaciuto questo articolo?
Un articolo esaustivo e chiaro . Anche io amo il teatro
"Mi piace"Piace a 1 persona